DIARIO DAL GHANA

Ghana 2016

Il risveglio dopo l'arrivo notturno è come scoprire tra suoni ed odori raggi di luce, dove sei piombato, se sei nel cuore della terra. Senti battere il tempo, tutto pulsa dall'aria alla terra, dal caldo al vento, sei dentro un ritmo continuo.
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I tamburi battono sempre notte e giorno, lontani o vicini.

In un pulmino carico di razze torniamo dal mare, dall'oceano. Un giorno di libertà per tutti: il sabato, anche per loro che non hanno famiglie, che non hanno parenti, hanno solo padre Gio. Canti, occhi, mani in un pulmino che racchiude la metafora della vita che potrebbe essere un viaggio insieme alla ricerca dell'umanità più profonda, senza fronzoli ma profonda.
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La Natura qui la senti dentro, presente, meravigliosa e minacciosa, splendida e inquietante, mette l'uomo al posto suo, sembra dire 'stat vasc', alla Pulcinella. Sei e ti senti un piccolo tassello di un meccanismo immenso che può schiaccianti in qualunque modo e momento, impari a rispettare e un po' a temere dalla zanzara al grande serpente, dal temporale all'onda dell'oceano.

Catapultati nel mondo di Padre Gio ne veniamo subito attratti e impressionati, ti prende come un senso di vergogna per non averlo scoperto prima, per essere stato presuntuosamente dietro te stesso e il tuo senso stupido di onnipotenza.
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In 15 anni ha creato dal nulla un collegio scolastico che accoglie 600 bambini e ragazzi ai quali non dà solo da mangiare, cosa comunque non da poco, ma gli dà un futuro: la cultura! Una fabbrica di maestri ed insegnanti che diffonderanno scuola e cultura diventando loro stessi maestri e insegnanti. Il Ghana ai Ghanesi, l'Africa agli Africani: il suo motto semplice e concreto diventa gigantesco e rivoluzionario e senza aiuti, se non dalle donazioni e dal volontariato, manda avanti un progetto gigantesco.
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Oggi, domenica, tutti in piedi alle 6; si va nella savana con padre Gio nel villaggio a 50 km. Lui a dire messa ed a organizzare scuola, noi a dare sorrisi e risate. Il viaggio è già il preludio di un incontro unico e travolgente: le strade di terra rossa simili alla terra della foresta amazzonica, gli incontri tra micro villaggi, capanne di fango e paglia, fuochi accesi, sciamani all'opera, tamburi lontani, caldo e sole, moto surreali tirate a lucido che sfrecciano sulla terra, termitai alti come case, piantagioni di ananas, distese rosse di peperoncini... qui tutto è più caldo, più grande, più verde, più nero, più inquietante, più emozionante.

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Mi sento piccolo piccolo in questo vasto mondo polveroso e meraviglioso, sento la forza dell'amore per la vita che potrebbe bastare per abolire guerre, fame e distruzioni, mi sento fratello di chiunque, dentro una capanna allatta i propri cuccioli con gli occhi grandissimi che scrutano una possibilità di futuro, mi sento con la mano nella mano di mia madre che mi accompagnava a scuola tra le pozzanghere e non avevo paura, avevo lei e mi sembravo un gigante.


L'Africa siamo noi se ci guardiamo dentro, più giù delle solite riflessioni, più giù ancora dei nostri ipocriti convincimenti, più giù ancora di noi, siamo Africa, terra e vita, vento e morte.
Meraviglioso continente madre delle nostre anime profonde.


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O mamma mamma mamma... la canzone del Napoli di Maradona diventa l'inno in poco tempo del villaggio, riveduta e corretta. E lì tutti a provare a cantarla, a intonare, a sussurrarla. Non capiscono di cosa si tratta ma sentono che è allegria, che questo matto riccioluto con il cilindro in testa canta come fosse l'inno di una patria intera, ed allora quando smetti senti che riprendono da soli, già la sanno, già sono lì a chiederti ancora.
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Saltiamo insieme, cantiamo che per un giorno siamo lì e domani... non c'è domani ma forse si... e allora tutti insieme... o mamma mamma mamma sai che c'è innamorato son... sono venuto in Ghana, sono venuto in Ghana... o mamma ho incontrato a padre Gio'!!!

Grande attesa.

La prima del laboratorio alle 16:00. Tutti pronti dentro i locali che ospiteranno la nuova biblioteca, da 25 sono diventati già 40, attenti, occhi sgranati, precisi, un ritmo eccellente, già gruppo prima di esserlo, si susseguono i giochi, gli esercizi e via sono pronti ma la magia è quando gli raccontiamo la storia che andremo a rappresentare. Silenzio di ascolto assoluto, tutti fermi, bellissimi occhi neri che fermano anche l'aria per non perdere una parola,
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anche i piccoli che erano fuori dalla sala a rumoreggiare si immobilizzano, meraviglia della narrazione orale e di chi non è ancora devastato da tablet e tv.

La notte è più notte qui, appena cala il sole fa buio e il buio fa più buio qui. Sarà che non ci sono grandi agglomerati intorno, sarà che l'elettricità non è ancora tanto diffusa, sarà che le lampadine sono più piccole ma qui quando fa buio ti viene solo da ritirarti ad ascoltare le storie degli altri, le stelle sembrano più vicine, più grandi che potresti quasi carezzarle, ti aiutano a farti compagnia perché qui in Africa quando fa buio sei solo, solo dentro con tutte le domande senza risposta che hai accumulato durante il giorno, ti rimbalzano come in un flipper anni '60 ma poi guardi in alto e mentre tutto attorno e dentro è buio pesto senti la carezza delle stelle e capisci la grandezza dei poeti: 'Se qualcuno ogni sera va lì e le accende vuol dire che qualcuno ne ha bisogno!' (Vladimir Mayakovsky).


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Secondo giorno di lavoro nelle cucine generali tra pentoloni fumanti, fuochi accesi, donne che lavano, accendono, sistemano, spostano tronchi, tostano grano, galli che cantano, gallinella che razzola: tutto nella serena scansione del tempo dettato dalle cose da fare. Arrivo tutto spavaldo, sorridente, faccio lo splendido, ridono, sorridono, cerco Cristopher al quale mi sono legato per apprendere qualcosa.
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Mi vede e mi saluta contento, prende una sporta di vimini piena di pesciolini salati ed essiccati ai quali bisogna staccare la testa. Alle 7 di mattina dopo il caffè non è proprio quello che mi aspettavo... momento di suspance... sorrido, prendo la sporta con i pesci ed inizio... sorriso generale: ora sono davvero uno di loro. Finito questo, mi mettono a girare il grano sopra il fuoco per tostarlo e scopro subito che il difficile non è forgiare il grano con la cucchiara di legno ma resistere al fumo che ceca gli occhi.
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Alla prima serie di colpi di tosse scoppiano tutti in una grande risata.

Oggi grande lavoro per i bambini ed i ragazzi della scuola, tantissimi, attenti, divertiti. È davvero bello vedere i loro occhi sognanti e immaginifici, siamo veri ambasciatori di sorrisi e loro lo sanno, lo sentono.

La vita scorre qui nel campo di padre Giò tra colazioni e cene a scambiare pareri, impressioni, sensazioni, senza troppi schermi, senza filtri. Siamo noi con le nostre vite e loro con le loro.

Ci sono diversi disabili, raramente hanno qualcuno fisso vicino. Jon è sulla sedia a rotelle, se vuole arrivare a scuola lo fa da solo, non aspetta che qualcuno lo spinga, qualche volta succede e qualche volta no. È così che va. Non hai mai, però, la sensazione di una discriminazione. Qui i disabili sanno che dovranno essere più determinati, più forti, più coraggiosi dei loro compagni o delle loro compagne.


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Quando finiremo di considerare figli nostri solo i nostri figli il mondo sarà un mondo diverso.
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Ieri osservavo questi ragazzi del laboratorio simili ai tanti nostri figli adolescenti, pieni di timidezza, esuberanti,
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pieni di desiderio e di sogni.

Penso ai tanti assurdi discorsi ascoltati non solo nelle tv ma anche nei bar, nei mercati, nei parchi, fatti dai giovani come dagli anziani.

Un odio verso chi arriva che non ha precedenti, almeno per me, una paura di essere invasi che nasconde insicurezza, ignoranza, pigrizia.

Da qui, dal profondo dell'Africa ti vien voglia di urlare: siamo tutti uguali sotto questo cielo, abbiamo tutti le stesse paure ed ognuno si aggrappa al suo dio sperando che sia quello giusto ma in fondo ci aggrappiamo gli uni con gli altri cercando le mani che possano rassicurarti.

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Le donne salveranno il mondo se guarderanno le donne africane che, senza mostrare il peso, portano sulla schiena i loro figli con in testa ceste cariche di speranze e di futuro, che piegano le loro schiene per preparare il cibo per chiunque abbia fame, che si inginocchiano per pregare un dio che aiuti a sopportare il peso delle esistenze sulle strade polverose di questo continente.

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Una risata vi seppellirà: cosìsbeffeggiavo il potere quando ero ragazzo, così mi sentivo forte, invincibile. Ora che quella risata è il mio cammino nel mondo, grido 'una risata vi salverà' per un momento, per un attimo indimenticabile, ci legherà per sempre come fratelli che hanno vissuto senza barriere e pregiudizi una goccia di felicità.

Mercati che ridono, che esplodono di colori, odori, rumori. Somigliano a marziani scesi sulla luna che atterrano su un mondo visto ma dimenticato, donne di tutte le età con i figli appesi dietro la schiena e sul capo tutto il mondo da trasportare per provare a campare ma sempre con il sorriso sulle labbra. Un popolo geneticamente buono, accogliente, disponibile. Si capisce meglio perché sono oggetto sempre di soprusi ed infamia. Bellissimi gli africani neri, i loro profili fieri, principi e regine della terra madre di tutto e di tutti.

Il laboratorio scorre tra fisicità pronte e voglia di far, difficilmente i ragazzi si deconcentrano, ci seguono, anche se non sempre riusciamo a farci comprendere, nonostante tutto, ma proprio tutto, parlano correntemente l'inglese.


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Carichiamo il furgone sempre più sgangherato che ci porterà
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nel villaggio di oggi. Un nuovo viaggio nei luoghi dove padre Giò realizza la sua idea di Dio: una scuola ovunque ci sia un bambino. Dopo un'ora e mezza di viaggio in furgone tra strade e sentieri praticabili, si scende, ci carichiamo tutto in spalanca e sulle teste e via. Altri 40 minuti di cammino tra paludi, micro villaggi, noci di cocco, madri sorridenti, figli piccolissimi,
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un po' intimiditi. Arriviamo e... meraviglia! Una scuola di banchi di legno e circa 150 alunni, dai piccolissimi agli adolescenti, tutti con un maestro o maestra in classe a studiare... nel bel mezzo della savana... non è poco!!

La chiesa non è ancora finita, quella viene dopo ma è tra le sue mura accennate che facciamo il nostro spettacolo. Tutti attentissimi, i piccoli ed i grandi, i maestri e le anziane venute dal villaggio: tutti per l'evento annunciato. Arrivano gli artisti dall'Italia!!!

Percepire la loro attenzione ti fa capire quanti danni fanno televisioni, pubblicità, smartphone, video dappertutto (nelle stazioni, nei negozi, per strada), quanti danni tutto questo sta producendo nelle nostre giovani generazioni. Che bello vederli pendere dalle labbra di chi racconta, ride a crepapelle per i giochi surreali di Marco a caccia di una zanzara inesistente o di Andrea clown sputa - fuoco e giocoliere.
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Martin, buffo Napoleone, gli fa fare un viaggio intorno al mondo e Noemi danza con i nastri... poi ecco arriva Pulcinella! Tutti fermi, tutti a bocca aperta... ma proprio tutti! Anche i grandi maestri e anziani. E giù risate, sorprese, commenti per la maschera più interculturale che ci sia!!

Quante domande mi faccio e nessuna risposta... ma stiamo meglio noi o loro? I nostri figli pieni di cibo, di giochi, di libri, computer e cellulari ne sanno davvero più di loro? Sono poveri o sono ricchi? 'Evangelizzazione' sta per offrire opportunità o per volerli come noi? La loro dignità può valere la nostra civiltà? Siamo così sicuri che la nostra igiene, le nostre case pulite di ceramica e porte blindate siano migliori delle loro case di fango con il tetto di paglia?

Risposte non ne ho ma riflessioni e dubbi tantissimi. Intanto mi godo i loro abbracci sinceri, veri, pieni di affetto come se ci conoscessero da sempre ma forse è proprio così!


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Savana: cammini, il sole ti cuoce i pensieri, la terra si fa nera e entri sempre più dentro, sempre nel cuore di un continente infinito, un viaggio nell'uomo dove i sensi si scaldano e dilatano le sensazioni.

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Pulcinella è un vero eroe popolare, ovunque, sempre, loro stanno sempre con lui: i poveri, gli affamati, i bambini di tuo il mondo, faccia nera e pancia vuota.

In cucina si seguono i ritmi del tempo, il fuoco, i pentoloni bellissimi e rotondi, i caldani, la legna sotto a rami lunghi, l'acqua a scaldare, il riso a bollire, i fagioli da scegliere, il grano da tostare, le chiacchiere delle donne, il sudore di Cristopher che sorride sempre.

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La sera nella sala del laboratorio si realizzano i sogni, giochi, scene, immagini, danze. Si suda, si chiede silenzio, si creano improvvisazioni che loro eseguono con grande naturalezza. Insieme piccoli e adolescenti.

Padre Giò ci osserva da lontano, ci segue, ha tante cose da mandare avanti ma ci chiede, vuole sapere. Avrebbe bisogno di un buon magazziniere, di un meccanico, di un aiuto falegname, dei nostri artigiani dimenticati. Qui sarebbero pieni della loro vita, del loro ruolo centrale nella vita di tutti.

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Oggi giorno di festa. È arrivata al campo la tosa erba ed è commovente vedere come lei va avanti e taglia e uno stuolo di bambini festanti raccolgono l'erba tagliata. Le conquiste sono davvero conquiste, noi ne abbiamo perso la ricchezza e l'importanza, non abbiamo il senso della conquista, del perché una lavatrice è un oggetto importante, prezioso.

Sono sereno qui, il mio fare è lo stesso che a casa ma qui senti che sei prezioso, che ti ringraziano, che gli adulti ti riconoscono come centrale per la formazione dei piccoli e dei grandi, senti il cuore nei loro sguardi, nella loro discreta modalità di apprezzamento, non fanno cerimonie, non ti danno targhe, non ti chiedono rendicontazione, durc, fatture, bonifici e tripla relazione. Ti chiedono verità e sanno riconoscerla, gli basta vedere come cammini, come parli, come sorridi.

Il venerdì notte è un continuo di suoni, di canti, di vita che ci giunge da lontano. Non a tutto possiamo arrivare, lo ascoltiamo come un sogno che viene dalle stelle perché qui sono più vicine, sono sulla linea dell'orizzonte e allora vedi la volta, sei sotto un grande coperchio di punti luminosi, tanti occhietti che ti guardano.

Risposte non ne ho ma riflessioni e dubbi tantissimi. Intanto mi godo i loro abbracci sinceri, veri, pieni di affetto come se ci conoscessero da sempre ma forse è proprio così!


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Entrare nei villaggi è davvero un viaggio nel tempo infinito, nella memoria ancestrale di ognuno di noi, sei costretto ad un silenzio che è al tempo stesso rispetto e timore, rispetto per degli uomini e delle donne che si mostrano per quello che sono con grande, grandissima dignità e timore di invadere, e in qualche modo disturbare, una quotidianità scandita dal tempo della terra.

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Ma appena arrivi e incroci il loro sguardo capisci che per loro sei un incontro, sei un uomo come loro, solo molto più buffo di loro. Ti accolgono, ti sorridono, ti stringono la mano, ti abbracciano, e sei tu che immediatamente comprendi che non sei tu ad accogliere loro ma loro ad accogliere te, diverso, il "povero" sei tu non loro.

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L'evento più importante della vita di un ghanese è il suo funerale. è il momento in cui tutta la famiglia, i conoscenti, i parenti, gli amici, verranno ad omaggiarlo, quindi è un evento che va preparato per bene, con calma e con la consapevolezza che tutti vi debbano e vi possano partecipare. Il funerale non avviene subito dopo la morte ma anche due, tre mesi dopo. I corpi possono tranquillamente aspettare in comode celle frigorifere e solo quando sarà tutto pronto si darà annuncio del funerale che è la vera festa della comunità.

I funerali si fanno sempre di venerdì e sono una festa di cibo e preghiere. In questi giorni andando per mercati, grottesche baracche tra le tante merci in vendita offrivano bare di tutti i colori e dimensioni, chiuse, semi aperte o cabriolet.

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Sentivo da qualche giorno che c'era in questo mondo che mi affascina qualcosa che mi risultava come una nota stonata, una spina che non riuscivo a localizzare, un colore fuori posto.

Poi questo colore mi si è definito, poco a poco, entrando nelle scuole, nei villaggi, nei mercati: quanti bambini! Tantissimi, dappertutto, ovunque, nei villaggi come nei paesi, nelle scuole come nei mercati, tantissimi bambini e tantissime mamme. Ecco, le mamme, giovani, giovanissime con i loro fagottini legati dietro la schiena, e tra i piedi altri due, tre che scorrazzano e con sul capo una cesta o un tino pieno di cose. Ecco la spina: ma a che età si diventa mamme qui? Quindici/sedici anni... un po' presto penso, e allora chiedo a padre Peppino: 'Non sarebbe il caso di fare una bella campagna informativa sui contraccettivi, almeno tra le adolescenti, in modo da evitare loro di diventare adulte prima delle scelte consapevoli?'. Ma la risposta è che devono arrivare alla consapevolezza della scelta della maternità da sole... E la spina si conficca un pò più in profondità!

È calato il buio, ma qui è più buio, è più notte, i suoni diventano più dominanti, il visivo lascia spazio al sonoro, all'immaginativo. Le penombre trasformano, la percezione cambia codici. I tamburi scandiscono danze e tempi, vicini e lontani, le cicale iniziano un concerto dalle mille tonalità, e le stelle sembrano danzare, lassù a tenerci compagnia.


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La quantità di bambini è davvero impressionante, sono dappertutto e quando entriamo nelle loro scuole sono davvero impressionanti: ogni scuola ne contiene tra i 600 e gli 800 dalle materne alle medie. Vengono distribuiti 50 per classe.

Ieri ho capito come bevono. L'acqua è quella piovana o dei pozzi, viene raccolta in grandi contenitori di terracotta e ogni bambino con la sua ciotoletta va alla giara e beve. In ogni scuola ad un'ora definita c'è una sorta di piccolo mercatino fatto dalle mamme, dove vengono vendute prevalentemente cose da mangiare: pane, biscotti, polenta, riso, frutta ma anche penne, quaderni e durante la ricreazione tutti vanno a prendere qualcosa. Tutti... tutti quelli che hanno almeno 1 ganasi da spendere e non sono molti.

Ieri ho comprato una bella stoffa e sono andato dal sarto, come avevano mio padre e mia madre, gli ho commissionato una camicia e un pantalone. La stoffa 40 ganasini (10 euro), la manifattura 50 ganasini (11 euro). Qui così si fa, stoffe bellissime, colorate, con accoppiamenti meravigliosi che sulle loro pelli scure diventano proiezioni delle loro anime coloratissime.


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C'è di notte un popolo intero che striscia, zampetta, corre, ulula, batte le ali, digrigna i denti, è l'esercito notturno degli esseri viventi piccoli e grandi che in Africa combatte la sua battaglia per la sopravvivenza. Insetti, animali di ogni dimensione e proporzione, inseguitori e inseguiti, prede e predatori, come guerrieri antichi e fieri, spietati e crudeli sul grande palcoscenico della notte, danno vita, instancabilmente, ad uno spettacolo invisibile agli occhi ma nettamente percettibile all'udito. Il canto di galli scandisce i tempi di questa battaglia senza fine e senza esclusione di colpi. Solo il sole li fermerà e, come vampiri, sanno che dovranno darsi da fare con il buio della notte. Io, con gli occhi spalancati, chiuso al riparo della trama del tulle bianco, mi sento come in un bunker che spero sia inespugnabile, perché mi rendo conto di essere un bottino molto ambito di questa inesorabile guerra.


Javuu, javuu! È il grido che ci accoglie da quando siamo qui, appena sbarchiamo nei mercati affollati e colorati. Uomo bianco! Uomo bianco.... Che non è un'offesa ma quasi uno sfottò, ci compatiscono, ci sorridono e poi salutano. Compriamo cose strane, non mangiamo quello per il quale loro sono ghiotti, prendiamo stoffe e qualche bracciale quando intorno c'è un mondo di merci colorate e per loro gustose: frutta, verdura, semi di ogni tipo e colore, polenta, mais, noccioline, misture calde, fredde, pastelle.... Di tutto e noi niente. Andiamo girando, fotografando come giapponesi, e loro ridono, ci compatiscono, in fondo siamo solo dei javuu javuu...


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È il momento dello spettacolo dei ragazzi. L'arrivo è sempre un caos, bambini piccoli, medi e grandi si mescolano vocianti e riconoscenti.
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Per noi è quasi impossibile ma appena chiedi di lasciare il palco solo agli attori tutti eseguono senza fiatare, la sala si compone, distribuiamo le magliette che per molti di loro sono una vera attrazione, bello vederli tutti con le magliette bianche di Save the children, pronti, concentrati e festanti di mostrarsi ai loro compagni. Il vero protagonista è il bambino che ha il ruolo della iena: Jonathan, un vero attore, con una verve da cabarettista eccezionale. Improvvisa, è un comico nato e tiene la scena come un professionista. Lo spettacolo affascina, sorprende, commuove, davvero un risultato eccellente in 10 giorni. Bellissime emozioni. Il finale non previsto è da pelle d'oca: tutti in piedi a cantare 'o mamma mamma mamma..'. Un pezzo di me resta con loro e questo fa scendere qualche lacrima che solca le guance...

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Questa sera tutti in chiesa a ricevere il saluto dei bambini. Momento di un pathos incredibile. C'erano tutti: piccoli, grandi e adolescenti, tutti. Padre Gió ci chiama uno ad uno per ricevere da uno di loro un piccolo dono, ecco è il mio momento, padre GiGió scandisce il mio nome e mi sento il cuore in gola, non faccio in tempo ad avvicinarmi che tutti in piedi attaccano 'o mamma mamma mamma...'. E sento davvero che ci stiamo stringendo tutti in un unico abbraccio, vederli lí sorridenti, battere le mani, sorridere, cantare il ritornello che ci ha buffamente accompagnato per tutto il tempo mi fa sentire come sollevato, fatto danzare per aria. Belli questi bambini di questa Africa, veri, pieni di affetto, di amore ed ai razzisti nostrani che frequentano le nostre chiese prima del santo pranzo dico: venite qui con le vostre mani pulite e le facce severe, vi accoglieranno a piedi scalzi ma pieni di sorrisi al grido di 'o mamma mamma mamma...'. Questa notte davvero ho visto cose che voi umani non immaginate neppure.

Siamo stati ad un funerale, ma cancellate ogni vostro riferimento culturale a questa parola, ogni rito anche strano al quale magari vi è capitato di partecipare. Di posti ne ho visti e anche estremi in quasi tutti i continenti ma una cosa così non l'avevo mai vista. Una grande baracca di legno tutta addobbata di teli, sedie fuori, e dentro solo una donna che da sola danza. Il defunto è giovane, un ragazzo, un militare di marina, 30 anni non li aveva, una malattia se l'è portato via, ma non è proprio così, lui è lì, vestito in divisa bianca, bella, con i guanti e le mani aperte ma... e qui è il primo shock, è in piedi, appoggiato alla parete, tenuta su non si capisce, né si vede, da cosa e come. Cercavo una bara e uno stuolo di donne che piangevano, trovo un ragazzo in piedi, e qui è il secondo shock, con gli occhi aperti guarda avanti diritto alla madre che danza. Fuori accanto alla baracca una banda festante di ottoni e percussioni suonano in modo pazzesco ritmi incalzanti e intanto tanta, tantissima gente che balla, guarda, si saluta, si diverte, ci si abbraccia, ci si incontra e intanto lui, il defunto, sta lì dritto ad occhi aperti che accoglie amici e parenti che, entrando, lo fotografano. Poi una sezione della banda si distacca , entra nella baracca, si schiera e, qui il momento più toccante, intonano una melodia morbida. Tutto dentro sembra sorprendersi, prendere un respiro, anche lui, il ragazzo, sembra commuoversi da tanta partecipazione, è un attimo, poi fuori il ritmo degli ottoni e delle percussioni riprende più forte, più incalzante, due anziani ballano una danza che è amore, sensualità, leggerezza, ballano la vita che c'è e la morte che verrà, noi piccole esistenze possiamo solo accogliere questo sguardo vitreo di un giovane defunto al quale la madre dedica la danza più tenera che abbia mai visto e mai vedrò. Grazie Africa per avermi ricordato che sono solo un essere umano in grado di vivere, di amare, di scegliere e poi anche di morire.


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L'oceano è un vulcano che tuona tutto il tempo. L'oceano è vigore, è forza ti entra dentro, lo senti, sempre, il suo tuonare ti entra nello stomaco, avvolge, travolge, spumeggiante ti sfida, sembra chiamarti 'vieni, vieni, fammi vedere cosa sai fare' e tu lì, piccolo piccolo, ti guardi bene dall'accettare la sua sfida. Sulla spiaggia si forma un capannello, vado e vedo una meraviglia, una tartaruga gigantesca che scava con le sue zampe una buca nella quale depositerà le sue uova. Il maschio dicono sia lì in mare ad aspettarla, poi andranno insieme in Brasile. In Brasile... già... Dove hanno deportato migliaia di uomini in catene e li hanno resi schiavi. Visitare Cape Coast, il castello da dove partirono gli schiavi rastrellati dagli inglesi, è una lezione di vita, un po' come andare ad Auschwitz, fatte le dovute differenze. La guida è una donna che racconta quella tragedia immane con la passione e al tempo stesso la dolcezza di chi sa che qualcuno dei suoi cari lì c'è stato.

Chi provava a scappare veniva rinchiuso in celle senza finestre e fatto morire di fame sete e stenti. Uomini e donne venivano divisi e rinchiusi in grotte sotterranee circa 2000 per volta, un 30% moriva e veniva gettato in mare, aspettavano anche 3 mesi in quelle condizioni la nave che se li portasse via. Quando era il momento venivano incatenati uno per volta e caricati, ogni carico era composto da 1000 uomini e 300 donne, destinazione Brasile, Argentina, Stati Uniti. Solo da Cape Coast ne sono transitati più di 50000. A gestire questa macchina della sopraffazione e della schiavitù solo 25 soldati che bastavano a tenere a bada un popolo scioccato, impaurito. Sapevano che non sarebbero più tornati e molti di loro si lasciavano morire, non sapevano dove sarebbero andati e chi li avesse comprati. La nostra guida mentre eravamo nelle grotte buie ci dice 'mentre qui sotto si moriva di fame e di paura, qui sopra i bianchi dicevano messa' e ci mostra alla fine della caverna un altare senza segni, solo un lenzuolo bianco dove loro, i neri, pregavano il loro dio affinché li perdonasse per quello che stavano facendo.


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Tornare è un poco morire, ma come l'araba fenice torniamo per risorgere e con la forza dell'Africa e della sua limpida energia vitale proveremo a camminare più a lungo qui sulle strade asfaltate che, a confronto delle loro, sembrano di marmo di Carrara, con la consapevolezza che anche da noi c'è un'Africa da far sorridere, dei bambini da proteggere e far giocare, perché questo è il senso vero del nostro impegno, lì dove c'è un bambino alziamo una barriera di protezione fatta di sorrisi, giochi, fantasia e sogni, tanti sogni perché i sogni dei bambini, tutti i bambini, non muoiono mai.

'Cerchiamo di vivere in pace qualunque sia la nostra origine, la nostra fede, il colore della nostra pelle, la nostra lingua e le nostre tradizioni. Impariamo a tollerare e ad apprezzare le differenze. Rigettiamo con forza ogni forma di violenza, di sopraffazione, la peggiore delle quale è la guerra' - Margherita Hack

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